LA SCULTURA IN MOVIMENTO TRA VUOTO E LEGGEREZZA. CALDER IN MOSTRA A LUGANO

Mondo – “È qualcosa di serio nonostante non dia l’impressione di esserlo”. Scriveva così Fernand Léger nel catalogo della mostra di Alexander Calder, nel 1931, alla Galerie Percier di Parigi.
“Così come si possono comporre i colori o le forme, allo stesso modo si possono comporre i movimenti” affermava l’artista due anni più tardi. Ed in effetti con le linee di fili metallici che scolpiscono volumi dai vuoti presentando il movimento di un’azione priva di peso e di massa, Calder ha davvero cambiato il modo in cui percepiamo e interagiamo con la scultura catturando la sottile essenza di momenti fugaci che variano al variare della luce o dell’aria.
Introducendo il movimento in una forma d’arte statica come la scultura, l’artista statunitense che torcendo il filo metallico ha essenzialmente “disegnato” figure tridimensionali nello spazio, famoso per l’invenzione di grandi sculture di arte cinetica, ha esteso questo medium oltre il visivo, nella dimensione temporale.
Fino al 6 ottobre il MASI di Lugano presenta, nella sede del LAC, la mostra Calder. Sculpting Time, la più completa monografica dedicata a Calder da un’istituzione pubblica svizzera negli ultimi cinquant’anni.

Oltre 30 capolavori creati tra il 1931 e il 1960, in prestito da importanti collezioni pubbliche e private internazionali, tra cui la Calder Foundation di New York, consentono di cogliere l’impatto profondo di questo artista rivoluzionario, e l’innovativo linguaggio sviluppato durante gli anni trenta e quaranta del Novecento. Muovendosi in uno spazio aperto, libero da pareti, il pubblico attraversa lavori che vanno dalle prime astrazioni o sphériques fino a una selezione di mobiles più recenti, stabiles e standing mobiles di diverse dimensioni.

La difficoltà a reperire lastre di metallo durante la Seconda guerra mondiale aveva spinto Calder a realizzare una nuova serie di sculture astratte con fili metallici e legno, appese alla parete ad altezze inaspettate. Sweeney e Duchamp, che ne curarono la retrospettiva del 1943 al Museum of Modern Art di New York, le chiamarono appunto “constellation”, visibili anche in mostra.

Alexander Calder, Quatre systèmes rouges, 1960, Ferro e acciaio, Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Denmark. Donation: The New Carlsberg Foundation. Photo credit: © Louisiana Museum of Modern Art / Poul Buchard / Brøndum & Co © 2024 Calder Foundation, New York / Artists Rights Society (ARS), New York

Dopo essersi trasferito a Parigi nel 1926 Calder si inserisce nell’avanguardia parigina iniziando a creare il suo rivoluzionario Cirque Calder e allargando la sua invenzione di ritratti in filo metallico, privi di massa. Nel 1930, il lavoro dell’artista si sposta verso l’astratto. La mostra di Lugano si sofferma su questo snodo decisivo nella produzione con le prime sculture non oggettive di Calder, che lo stesso artista descrive come densités, sphériques, arcs e mouvements arrêtés.
A Lugano è esposto uno dei più importanti mobiles, Eucalyptus (1940). Questa scultura fece il suo debutto nella mostra che si tenne nel 1940 alla Pierre Matisse Gallery di New York.
“Muovendosi liberamente e interagendo con l’ambiente circostante, sembra dare forma all’aria; cambia continuamente, giocando con il tempo” scrissero all’epoca le curatrici.

Tra gli altri mobiles in mostra ci sono Arc of Petals (1941) e Red Lily Pads (1956), esposta nell’ultima sala, rivolta alla panoramica vetrata con vista sul lago Ceresio. Vibrando a ogni minimo cambiamento dell’aria e della luce, le opere di Calder vibrano nell’imprevedibilità del tempo e dei suoi diversi momenti.

Veduta dell’allestimento “Calder. Sculpting Time”, MASI Lugano, Svizzera. Foto: © Luca Meneghel © 2024 Calder Foundation, New York / Artists Rights Society (ARS), New York

“Calder – spiegano le curatrici – ha creato organismi metallici che possiedono le qualità della leggerezza e della varietà in forme biomorfiche sottili, che sono allo stesso tempo resistenti e fragili, dinamici ed estetici, solidi e ipersensibili”.
Ed ecco gli stabiles – termine coniato da Jean Arp per le opere statiche dell’artista in risposta a Duchamp – che esplorano invece il movimento implicito. Untitled (circa 1940) e Funghi Neri (1957) rendono evidenti le spettacolari variazioni di scala di queste opere, dalle dimensioni più ridotte a quelle maggiori.

La mostra, realizzata grazie a Fondazione Favorita, sarà accompagnata da un catalogo pubblicato da Silvana Editoriale in italiano, inglese e tedesco, con un saggio di Carmen Giménez e Ana Mingot Comenge e una selezione di testi storici.

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